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Simone Sommariva Poeta e Scrittore Simone Sommariva, conosciuto come Simonin del Tonelerchie, nasce a Moena il 12 agosto 1927. Dopo un’infanzia trascorsa come molti coetanei fra pascoli, boschi e il ciclo delle fienagioni, intraprende gli studi ginnasiali per conseguire la maturità classica a Trento. Laureatosi in medicina e chirurgia a Milano ed ottenuto alcune specialità, torna nella natia Fassa prima come medico condotto poi come dentista. Vero propulsore dello sviluppo turistico dei primi anni sessanta, “inventa” dal nulla gli impianti scistici del Lusia, contribuendo prima come sindaco poi come presidente dell’azienda autonoma di soggiorno al boom turistico del paese. Ma è la cultura e storia locale che lo appassionano giungendo anche a pubblicare un libro “Os ladine da Moena”, vera e propria galleria di personaggi moenesi. Fonda anche una casa editrice allo scopo di promuovere l’identità culturale ladina e la sua principale passione, la montagna. Nei primi anni del settanta si trasferisci a Bolzano per proseguire la sua carriera professionale e forse proprio da questo temporaneo distacco scaturisce la sua produzione poetica, pubblicata qualche anno dopo nella raccolta “Bröghez e Zautarign”. Si tratta di una poesia della nostalgia e del ritorno, legata al confronto continuo fra uomo e montagna, fra spirito e natura. La roccia, l’acqua, il ghiaccio, gli alberi e la neve, raffigurati spesso con profonda impronta naturalistica assumono toni a volte magici e di mistero, quasi le stesse montagne diventassero divinità benevole e un po’ beffarde, a guardia delle miserie degli uomini. Non mancano riferimenti alla umile vita contadina, rappresentati con vivacità ed ironia, sia che si tratti della nascita di un neonato, della morte di un anziano, di una processione religiosa. Anche gli oggetti della casa prendono vita a sé, testimoni di azioni quotidiane secolari raccontati come religiosi riti. C’è poi la condanna della guerra e della violenza, azioni dell’uomo ma annichilite dalla potenza della natura e di dio. Dopo il ritorno al paese natio, quello che doveva essere un “buon ritiro” nella tanto amata “tegnuda dei Menuc” ai Ronchi, diventa un calvario di malattia che lo porta a morte il 30 Aprile 1999. Sul suo taccuino da banco sempre in vista la frase di Cicerone "Si apud bibliothecam hortulum habes, nihil deerit".
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